Padre Nostro: Significato e storia

Il Padre Nostro è la preghiera fondamentale insegnata da Gesù. Ecco la storia e il significato dell'invocazione

Il Padre Nostro è la preghiera cristiana più conosciuta, il significato e la storia di quest’invocazione affondano le radici direttamente nella predicazione del Messia, dato che Gesù l’ha insegnata ai discepoli ed è inserita anche durante la Messa.

Padre nostro che sei nei cieli,
sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno,
sia fatta la tua volontà
come in cielo così in terra.

Dacci oggi il nostro pane quotidiano,
e rimetti a noi i nostri debiti
come noi li rimettiamo ai nostri debitori,
e non ci indurre in tentazione,
ma liberaci dal male.

Amen.

Storia e significato del Padre Nostro nei Vangeli

Il Padre Nostro s’intitola proprio in questo modo per le parole iniziali di questa fondamentale invocazione, conosciuta anche come Preghiera del Signore che in latino si chiama Oratio dominica. I Vangeli ne riportano due versioni:

  • La formula riportata nel Vangelo di Matteo in riferimento al discorso della Montagna è la versione più estesa: “Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome; venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà, come in cielo, anche in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano; rimettici i nostri debiti come anche noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori; e non ci esporre alla tentazione, ma liberaci dal maligno.” (Matteo 6, 9-13)
  • Esiste una versione breve riferita nel Vangelo di Luca: “Padre, sia santificato il tuo nome, / venga il tuo regno; / dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano,/ e perdonaci i nostri peccati, / perché anche noi perdoniamo ad ogni nostro debitore, / e non ci indurre in tentazione» (Luca 11, 2-4).

L’insegnamento di Gesù attraverso il Padre Nostro

Il Messia intende insegnare a rivolgersi a Dio nel modo corretto e dimostrare che la preghiera non è basata sulla serie di riti e orazioni molti rigidi e precisi, come imponeva l’antica tradizione ebraica che rimarcava la netta distanza tra uomo e Dio ma, al contrario, il Padre Nostro permette di dialogare con una divinità che non è affatto lontana perché è paterna e vicina alle esigenze spirituali e materiali degli uomini.

Non a caso, Gesù stesso si rivolge a Dio Padre usando il termine Abbà che, in effetti, non è molto tradizionale in ebraico, ma certamente più confidenziale e traducibile in italiano con l’espressione più affettuosa di papà.

Il Padre Nostro nel Vangelo di Matteo

In effetti, le versioni del Padre Nostro di Matteo e Luca differiscono non solo perché la prima è una versione lunga rispetto alla seconda, ma anche per il contesto in cui gli evangelisti descrivono la preghiera insegnata da Gesù.

La versione di Matteo è considerata dagli studiosi di tenore più ebraico nell’ambito del Discorso della Montagna, quando il Messia aveva già iniziato la sua vita pubblica ed era quindi un predicatore conosciuto e molto seguito.

Secondo San Matteo, Gesù aveva deciso dunque di salire su un monte perché tutti potessero sentirlo, e aveva pronunciato un discorso che riunisce molti dei passaggi salienti di tutta la sua predicazione: le beatitudini (Matteo 5, 1-12), la comparazione dei discepoli con la luce del mondo (Mt 5, 14-16), le sue posizioni sulla Legge di Mosè (Mt 5, 17-20) e il commento ai comandamenti (Mt 5, 21-37).

Proprio in questo contesto, Gesù insegna il Padre Nostro agli ebrei e ai gentili, cioè pagani e non cristiani, ma ai quali il Messia rivolgeva ugualmente il messaggio di salvezza universale, con lo scopo di ammonirli a non trasformare la preghiera e la carità in atti esteriori (Matteo 6, 5-8), e a invocare Dio con semplicità e in segreto per non ostentare la propria fede.

Il Padre Nostro nel Vangelo di Luca

Il Padre Nostro è quindi l’invocazione che risponde a questo scopo, mettendo Dio in una luce completamente nuova di fronte all’umanità bisognosa di aiuto e questo concetto emerge anche nella versione evangelica di San Luca.

L’evangelista racconta infatti (Luca 11, 1-4)  che Gesù aveva pronunciato il Padre Nostro dopo aver pregato in un luogo appartato perché uno dei discepoli gli aveva chiesto quale fosse il modo migliore di invocare Dio.

Di conseguenza, la narrazione dell’episodio differisce solo nelle circostanze in cui è maturato l’insegnamento della preghiera, ma non modifica la sostanza teologica che Gesù intendeva trasmettere.

Le differenze principali del Padre Nostro nei due Vangeli

Gli studiosi hanno evidenziato le principali differenze presenti nel Padre Nostro nella versione evangelica di San Matteo, rispetto a quella più sintetica presente nel Vangelo di Luca:

  • Luca invoca Dio solo come “Padre”, mentre Matteo come “Padre nostro che sei nei cieli”
  • Nel Vangelo di Luca non c’è la richiesta della realizzazione della volontà di Dio sulla terra come in cielo
  • Solo San Matteo  menziona l’invocazione finale “liberaci dal male / Maligno
  • Luca usa direttamente l’espressione “peccati” e non il termine “debiti” come Matteo che, in realtà, è considerato più giuridico ma comunque sinonimo di peccato.

Le ipotesi formulate dagli studiosi sulle differenze tra Matteo e Luca

Ci sono sostanzialmente tre ipotesi sulle differenze esistenti nei due Vangeli: la prima indicherebbe che la versione di San Luca è più attinente alle parole di Gesù che parlava in modo sintetico attraverso le parabole. In questo caso, la versione di san Matteo avrebbe aggiunto piccole perifrasi che però non stravolgono la sostanza del Padre Nostro.

Una seconda ipotesi sosterebbe invece che proprio Matteo ha offerto la migliore fedeltà di trascrizione della preghiera, successivamente accorciata dai cristiani dell’epoca per qualche dimenticanza e Luca avrebbe seguito questa tradizione ormai consolidata.

La terza ipotesi considera invece che Gesù non abbia pronunciato il Padre Nostro una sola volta, ma più spesso proprio per favorire l’apprendimento dei discepoli e i due evangelisti avrebbero raccolto questa orazione in momenti diversi anche se, in ogni caso, le differenze fra le due versioni del Padre Nostro sono piuttosto marginali.

Il significato di Padre Nostro

Il Padre Nostro è quindi la preghiera che, grazie all’insegnamento di Gesù, rivoluziona completamente il il modo di pregare:  Dio. non è più solo il “Dominatore”, o il  “Signore” come fosse un regnante terreno, ma è Padre. E gli esseri umani non sono sottomessi ma figli amati e mai lasciati soli.

Inoltre l’aggettivo “nostro” indica che è Padre di tutti, indipendentemente dalla condizione sociale, culturale o appartenenza razziale, inoltre Dio ama individualmente ogni persona, quindi l’amore paterno si esprime verso ogni singolo individuo e non nei confronti di una collettività generica.

Che sei nei Cieli sia santificato il tuo nome

Le parole “che sei nei Cieli” significano che Dio è elevatissimo rispetto all’umanità ma allo stesso tempo vicino alle esigenze di ognuno: “Questa espressione biblica non significa un luogo («lo spazio»), bensì un modo di essere; non la lontananza di Dio, ma la sua maestà. Il nostro Padre non è «altrove»: egli è «al di là di tutto» ciò che possiamo concepire della sua santità. Proprio perché è tre volte Santo, egli è vicinissimo al cuore umile e contrito:” (CCC, 2794).

La santificazione del nome di Dio invita invece a rispettarlo e amarlo, quindi occorre l’impegno di ognuno a questo scopo, anche per farlo conoscere agli altri a nostro vantaggio spirituale, come insegnano i Padri della Chiesa:

“Quando diciamo: Sia santificato il tuo nome, eccitiamo noi stessi a desiderare che il nome di lui, ch’è sempre santo, sia considerato santo anche presso gli uomini, cioè non sia disprezzato, cosa questa che non giova a Dio ma agli uomini (Sant’Agostino, Lettera a Proba).

Venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra

A questo punto della preghiera, gli uomini invocano il regno di Dio per promuoverne la realizzazione, quindi S. Agostino ci viene ancora in aiuto per chiarire meglio il concetto:  “Quando diciamo: Venga il tuo regno, il quale, volere o no, verrà senz’altro, noi eccitiamo il nostro desiderio verso quel regno, affinché venga per noi e meritiamo di regnare in esso (Sant’Agostino, Lettera a Proba).

L’accettazione della volontà di Dio è il passo successivo e necessario per affidarsi a Lui, che non esercita un potere arbitrario ma per il bene dei Suoi figli, quindi compiacerlo significa seguire il percorso di salvezza. Tuttavia, la vita terrena è contrassegnata da ostacoli che non sempre comprendiamo perché i limiti umani non ci permettono di avere la visuale divina su passato, presente e  futuro, come se fossero una cosa sola:

Gesù, «pur essendo Figlio, imparò tuttavia l’obbedienza dalle cose che patì» (Eb 5,8); Noi siamo radicalmente incapaci di ciò, ma, uniti a Gesù e con la potenza del suo Santo Spirito, possiamo consegnare a lui la nostra volontà e decidere di scegliere ciò che sempre ha scelto il Figlio suo: fare ciò che piace al Padre.

È mediante la preghiera che possiamo discernere la volontà di Dio ed ottenere la costanza nel compierla” (CCC 2825-2826). “Preghiamo il Padre nostro di unire la nostra volontà a quella del Figlio suo, perché si compia il suo disegno di salvezza nella vita del mondo” (CCC 2860).

L’espressione come in cielo così in terra conclude di fatto la prima parte del Padre Nostro che è concentrata sulla lode e sull’impegno dell’uomo a rendere testimonianza a Dio, compiendo la Sua volontà ovunque.

Dacci oggi il nostro pane quotidiano

La seconda parte della preghiera si apre con una richiesta di ottenere ogni giorno quello che è necessario, non il superfluo, e non si tratta di una richiesta egoistica ma caritatevole, perché invochiamo quello che occorre nella vita quotidiana non solo per noi, ma anche per gli altri, sia a livello materiale, sia il cibo per l’anima che alimenta l’esistenza sprituale:

Dicendo «Dacci», esprimiamo, in comunione con i nostri fratelli, la nostra fiducia filiale verso il Padre nostro dei cieli. «Il nostro pane» significa il nutrimento terreno a tutti necessario per il proprio sostentamento, ma indica pure il Pane di vita: Parola di Dio e Corpo di Cristo.” (CCC, 2861).

Quando diciamo: Dacci oggi il nostro pane quotidiano, con la parola oggi intendiamo “nel tempo presente”, in cui o chiediamo tutte le cose che ci bastano indicandole tutte col termine “pane” che fra esse è la cosa più importante, oppure chiediamo il sacramento dei fedeli che ci è necessario in questa vita per conseguire la felicità non già di questo mondo, bensì quella eterna (S. Agostino, Lettera a Proba).

Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori

Uno dei punti più impegnativi del Padre Nostro è proprio quello in cui s’invoca il perdono dei peccati, nella misura in cui siamo disposti a perdonare il nostro prossimo e, in caso contrario, chiediamo di fatto a Dio di riservarci analogo trattamento:

La domanda implora la misericordia di Dio per le nostre offese; essa però non può giungere al nostro cuore, se non abbiamo saputo perdonare ai nostri nemici, sull’esempio e con l’aiuto di Cristo” (CCC, 2862).

Proprio sulla necessità di meritare il perdono si concentra anche S.Agostino: Quando diciamo: “Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori”, richiamiamo alla nostra attenzione che dobbiamo chiedere e fare per meritare di ricevere questa grazia (S. Agostino, Lettera a Proba).

E non ci indurre in tentazione

E’ probabilmente la frase del Padre Nostro oggetto di maggiori discussioni teologiche che, secondo alcuni, dovrebbe rimarcare l’invocazione a Dio di non permettere la nostra caduta in tentazione per evitare equivoci, tuttavia le spiegazioni sono piuttosto chiare:

“Dicendo: «Non ci indurre in tentazione», chiediamo a Dio che non ci permetta di prendere la strada che conduce al peccato. Questa domanda implora lo Spirito di discernimento e di fortezza e chiede la grazia della vigilanza e della perseveranza finale (CCC, 2863).

Inoltre, S. Agostino offre una risposta articolata che dovrebbe sciogliere ogni dubbio: “Quando diciamo: “Non c’indurre in tentazione”, ci eccitiamo a chiedere che, abbandonati dal suo aiuto, non veniamo ingannati e non acconsentiamo ad alcuna tentazione né vi cediamo accasciati dal dolore” (S. Agostino, Lettera a Proba).

Ma liberaci dal male amen

Il disegno di salvezza operato da Dio offre la garanzia che tutti gli uomini ne fanno parte, quindi ognuno può invocare la liberazione dal male e dal maligno per perseguire l’obiettivo della salvezza eterna, seguendo l’insegnamento divino:

Nella domanda: «Ma liberaci dal male», il cristiano insieme con la Chiesa prega Dio di manifestare la vittoria, già conseguita da Cristo, sul «principe di questo mondo», su Satana, l’angelo che si oppone personalmente a Dio e al suo disegno di salvezza” (CCC, 2864).

“Quando diciamo: “Liberaci dal male”, ci rammentiamo di riflettere che non siamo ancora in possesso del bene nel quale non soffriremo alcun male. Queste ultime parole della preghiera del Signore hanno un significato così largo che un cristiano…di qui comincia, qui si sofferma, qui termina la sua preghiera (S. Agostino, Lettera a Proba).

Amen è infine il sigillo che imprimiamo al Padre Nostro come conclusione coerente dell’invocazione a compiere la volontà di Dio e a chiedere il Suo aiuto per conseguirla. Non a caso, amen significa proprio e così sia (CCC, 2865).

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